Una stagionatura inaspettata del formaggio: quella in fossa

Una stagionatura inaspettata del formaggio: quella in fossa

In Romagna fin dal XV secolo il formaggio veniva sottoposto ad una stagionatura in fosse di tufo

In Romagna nelle terre che si estendono da Talamello, in provincia di Rimini, fino alle valli del Montefeltro e del Metauro, passando per Solignano al Rubicone, il formaggio viene sottoposto a una stagionatura molto particolare, quella in fossa.

Questa tecnica conferisce al prodotto un odore intenso con sentori di tartufo e di zolfo. Il sapore, invece, varia in base al tipo di latte utilizzato si passa da quello forte e leggermente piccante del pecorino a quello molto più dolce e delicato del vaccino.

Questa pratica è ben radicata nella storia, sembra, infatti, risalire al XV secolo quando tutta la zona era dominata dalla famiglia Malatesta. La scelta di stipare il formaggio e altri prodotti nelle fosse di tufo era legata sia alla necessità di conservare le scorte di cibo per l’inverno che per evitare le razzie da parte degli invasori.

Formaggio in fossa
Vari formaggi

La tradizione

Tradizionalmente il formaggio veniva sotterrato insieme ad altri alimenti e questo, grazie alla mancanza di ricircolo d’aria, gli permetteva di arricchirsi di aromi e umori. I prodotti venivano infossati verso la fine di agosto e recuperati circa tre mesi dopo il giorno di Santa Caterina (il 25 novembre). Presso Sogliano al Rubicone il giorno della sfossatura si teneva una grande festa. Ancora oggi questo evento apre la Sagra del Formaggio di Fossa.

Attualmente nelle fosse vengono riposte esclusivamente le forme di formaggi e prima di poter dare avvio alla stagionatura, vanno eseguiti determinati passaggi. Le cave di tufo, per poter ospitare le forme, devono subire un processo di sterilizzazione attraverso la bruciatura della paglia. In questo modo vengono eliminati l’umidità e tutti gli eventuali batteri dannosi. Dopo aver ripulito la fossa dalla cenere, le pareti di tufo vengono ricoperte da paglia, per isolare le forme. Solo dopo questi processi le fosse sono pronte ad ospitare il prodotto.

Il formaggio, dopo una prima stagionatura di circa due mesi nei caseifici, viene posto all’interno di un sacco di tela bianca di cotone o lino, contrassegnato con un numero per poterlo poi riconsegnare al casaro che l’ha prodotto, e, infine, messo a stagionare negli scaffali interni alla cava.

Il recupero come un rito

Le forme vengono recuperate circa 90 giorni dopo l’infossatura, questa “resuscitazione” avviene attraverso un vero e proprio rito. Dopo l’apertura della cava è di fondamentale importanza lasciarla areare per un lasso di tempo che può andare dai 30 minuti alle 6 ore, affinché possano fuoriuscire tutti i gas nocivi. Solo dopo questi passaggi gli “sfossatori” possono introdursi nella fossa per prelevare le forme di formaggio. Successivamente le forme vengono sistemate su degli scaffali pronte per essere vendute o restituite ai produttori.

Oggi si stima l’esistenza di circa 80 fosse, di cui 40 disposte nelle località romagnole di Sogliano al Rubicone, Talamello Sant’Agata Feltria e Cartoceto.

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