Quando l’amore per la propria terra si scontra con la burocrazia

Quando l’amore per la propria terra si scontra con la burocrazia

Dopo essersi laureato in enologia e aver fatto esperienza sul campo in diversi Paesi del mondo, ritorna in Puglia, sua terra natia, per realizzare il sogno custodito per anni nel cassetto. Approfondiamo la conoscenza di Giovanni Aiello, enologo per amore e produttore di vini.

Giovanni Aiello

Nato e cresciuto tra le vigne, le grotte e il mare della sua Puglia, Giovanni Aiello, decide sin da subito di approfondire il legame con le sue radici. Lo fa studiando enologia tra Veneto e Friuli, ma anche lavorando tra le valli della California e le colline dell’Australia. Dopo aver approfondito le sue conoscenze e sperimentato personalmente tecniche e vitigni in giro per il mondo, non resiste al richiamo della sua terra, e rientra in Puglia. Sarà proprio qui, che realizzerà il sogno di aprire la sua Società Agricola “Enologo per amore”, con l’intenzione di valorizzare questo meraviglioso territorio.

Lo abbiamo incontrato durante Rebel Foodexp 2022”, l’evento dedicato all’enogastronomia e all’ospitalità che si è svolto il 24 e 25 maggio presso il Chiostro dei Domenicani a Lecce.

La nostra chiacchierata inizia proprio dai suoi vigneti.

“Si trovano principalmente tra Castellana Grotte e Alberobello, esattamente in una zona denominata Canale di Pirro. Un’area vergine, priva di costruzioni. Si tratta di un canale vallivo costruito ad un fiume qualche milione di anni fa e che scorre a ottanta metri sotto terra. Ciò significa che siamo su un terreno carsico e calcareo. Un lembo di terra lungo 15 km che prende l’aria fredda dalla Murgia e la riversa in mare. Ci troviamo, quindi, in un’area molto ventilata e fredda e per la viticoltura questo è piuttosto rischioso, in quanto può essere soggetta a gelate. La temperatura, solitamente è di 3/4 °C in meno rispetto a Castellana Grotte, il che favorisce la produzione dei rosati e dei bianchi, meno quella dei rossi pugliesi. Oltre ai vitigni di mia proprietà, gestisco e lavoro un altro terreno, insieme ai proprietari, una coppia di novantenni. La vigna in questione è stata piantata dal padre della signora, prima di partire per la Prima guerra mondiale, con l’intenzione di provvedere al mantenimento della sua famiglia in caso di non ritorno”.

Nelle tue esperienze all’estero, hai notato sostanziali differenze nella burocrazia?

“Assolutamente sì. Sono stato in California, Australia, Nuova Zelanda, e Francia. Quest’ultima pur essendo vicina all’Italia ha una burocrazia più snella rispetto a noi. Il “Nuovo Mondo”, invece, ha un pensiero del tutto innovativo. Qui in Italia dietro una bottiglia di vino c’è tanta carta. È più importante dimostrare a livello cartaceo di fare un buon vino, piuttosto che saperlo fare realmente”.

Oggi si parla molto del ruolo predominante che la comunicazione ricopre nella quotidianità. Quanto credi sia importante saper presentare bene il proprio prodotto?

“La comunicazione è un tassello fondamentale in un’azienda. Oltre che con i fatti è importante saper trasmettere il messaggio che il vino che si sta bevendo è stato prodotto con uva di ottima qualità, lavorata in un territorio d’eccellenza”.

Cosa ne pensi, invece, di coloro che attraverso la comunicazione riescono a vendere anche un vino di scarsa qualità?

“Dipende molto dal target di riferimento. Se mi rivolgo ad un pubblico che è abituato a bere bene ed è competente, posso pure raccontare una serie di fandonie ma alla fine è il bicchiere di vino a parlare di sé. Se invece mi rivolgo a coloro che amano bere ma non hanno una percezione oggettiva di ciò che c’è nel calice, allora il messaggio comunicato prevale sulla qualità del prodotto”.

Stiamo assistendo ad un ritorno nei campi da parte dei giovani e dei piccoli imprenditori. Pensi sia un momento transitorio o invece continuerà e si comincerà a dare qualche picconata alle travi delle grandi industrie?

“La picconata sarà possibile darla quando anche con l’agricoltura si potrà guadagnare e vivere bene. Solo allora i giovani torneranno a fare gli agricoltori. La gente negli anni sessanta è scappata dalle campagne perché si faceva la fame, mentre il lavoro in città garantiva un pezzo di pane tutti i giorni. Fare l’agricoltore è un rischio, dipende molto dal tempo. Basta una grandinata e rischi tutto. Io sono nato in campagna e anche se per molti anni ho pensato di abbandonarla, alla fine l’attaccamento alla terra ha avuto la meglio”.

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