La Via Appia: un viaggio lungo millenni. Parte 1

La Via Appia: un viaggio lungo millenni. Parte 1

La capacità costruttiva dei romani al servizio di conquiste ed estensioni: la prima autostrada della storia per l’incontro e l’integrazione di popoli, terre, culture

La via appia

Era l’anno 312 a. C quando un saggio console chiamato Appio Claudio Cieco (cognome dovuto alla perdita della vista), decise di realizzare la più importante strada di Roma: la Via Appia.

Il motivo? Semplice e pragmatico, come era nella logica dei romani.

La città era in piena espansione ed in guerra con il Sannio a sud. Una via di comunicazione più dritta e rapida, avrebbe consentito immediati e futuri vantaggi. Questo per lo spostamento delle legioni, delle merci, dei rifornimenti e per il servizio postale.

Un proverbio recita “tutte le strade portano a Roma”. Considerando un tracciato di circa 100.000 Km ripartiti in 29 vie principali, la città era davvero collegata a tutte le province dell’Impero: dalla Spagna all’ Arabia, fino in Africa e India. Già dal IV sec. a. C comunicava con un territorio comprendente ben trentadue moderne nazioni.

La via appia

La Via Appia: La Regina viarium

Ma perché l’Appia venne da subito riconosciuta come la regina di tutte: la Regina Viarium? Non fu di certo la prima (molto più antica era per esempio la Salaria per l’approvvigionamento del sale), né la più lunga (a confronto ad es. con l’Aurelia).

Di certo fu la prima strada creata con criteri “moderni”: una vera autostrada! Appio Claudio capì l’esigenza di un collegamento che fosse più veloce possibile per collegare Roma a Capua (avamposto cruciale per l’estensione territoriale nel meridione). Fece quindi realizzare la Via saltando i collegamenti con i centri più piccoli puntando diretti all’attuale Maria Capua Vetere. In cinque o sei giorni a cavallo si percorrevano 195 km e si arrivava a destinazione

La via appia

L’ampliamento verso sud

Nel 268 a.C. fu prolungata fino a Benevento, successivamente, nel II sec. a.C., fino a Taranto e Brindisi. Oltrepassando in questo modo gli Appennini e creando una importantissima porta verso l’Oriente. I romani dimostrarono nel rigore costruttivo e nella risolutezza di ovviare agli ostacoli che la natura gli poneva davanti, una capacità senza pari. Creando ponti sui fiumi, viadotti sulle valli, tagliando montagne e colline con infrastrutture che tutt’ora sono in parte esistenti.

Le modifiche dell’Imperatore Traiano

L’ imperatore Traiano la modificherà in seguito rendendola ancora più breve con la possibilità di raggiungere Brindisi da Roma in “soli” tredici giorni di cammino (540 Km). Tutt’ora al porto brindisino ci sono le due colonne che celebravano la fine del tragitto e la possibilità appunto di “brindare” al sicuro approdo.

L’Appia è anche la prima strada a prendere il nome del console che la fa eseguire (fino ad allora i nomi delle consolari traevano spunto dalle loro mete o attività). Inoltre, fu la prima che rispose in pieno ai tre maggiori criteri di costruzione romana, ossia: firmitas = solidità / utilitas = funzionalità / vetustas =adeguatezza e coerenza costruttiva.

La via appia

I numeri della Via Appia

Passeggiando sugli antichi basoli delle prime miglia, si è solo sulla parte più alta di una stratificazione di circa un metro e trenta di spessore. La base del sistema viario veniva organizzata su di una massiccia trincea, scavata per trenta centimetri e riempita con grandi pietre (statumen); poi seguiva altro strato di pietre unite a calce (rudus) e ancora sopra un terzo strato di grossa ghiaia e pietrisco (nucleus). Il tutto veniva fortemente livellato con uso di enormi cilindri e, solo per ultima la pavimentazione (pavimentum) con materiali durissimi come il basalto appunto, incastrati tra loro in modo ineccepibile tanto da non dover far penetrare neanche una lama di coltello. Gli etruschi ed i greci avevano già creato strade ma ciò che differenzia quelle romane è l’aggiunta della pavimentazione e, anche per lunghissimi tratti.

Le stazioni di servizio

L’ ampiezza doveva poi garantire necessariamente il passaggio in contemporanea di due carri marcianti in senso opposto. Perciò l’Appia era larga circa 10,30 mt, divisa in due carreggiate affiancate da marciapiedi larghi altri 3 mt. E nella parte centrale, per ovviare allo scolo delle acque, c’era una inarcatura apposita detta: a schiena d’asino. Tutto pensato per essere perfettamente fruibile, incluse le stazioni di servizio che si potevano trovare ogni 12-18 miglia per il ristoro di viaggiatori e cavalli (le mansiones). C’erano poi altre strutture più ravvicinate distanti una dall’altra, circa tre ore di marcia, che offrivano solo uno scarno pasto e una stalla per cambio animale (le mutationes). Queste ultime erano davvero poco raccomandabili, per frequentazioni e sporcizia, ma erano l’unica alternativa al passare la notte in piena campagna alla mercé di malintenzionati.

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