Il Tale. Un locale da “favola”

Il Tale. Un locale da “favola”

In pieno periodo pandemico, il Tale (trad. Favola) nasce grazie alla determinazione di quattro amici. In quella parte di Talenti, zona di Roma, non c’erano ancora locali di questo genere. La passione per questo mondo è stato il traino all’apertura. È passato circa un anno e mezzo e i risultati gli stanno dando ragione. Abbiamo incontrato Ludovico Lembo, uno dei quattro de Il Tale, che ci ha raccontato i passi che li hanno portati ad essere uno dei cocktail bar più accreditati del momento.

Il Tale

Il marchio che vi contraddistingue è legato al nome, cosa raffigura?

“Il marchio è una coppa di Margarita all’interno di una piuma. L’idea è stata quella di far abbracciare due simboli che ci rappresentano. La penna, per scrivere un racconto, quello dei nostri drink. La prima drink list è stata abbinata al giardino dei tarocchi di Capalbio. Ogni carta è associata ad un drink. Rivisitiamo i grandi classici: negroni, champagne cocktail, boulevard”.

Che tipologia di locale avete realizzato?

“Il locale è pensato come uno street bar, lo si vede chiaramente dalla disposizione del bancone e degli spazi. Ci sono posti all’interno ma abbiamo a disposizione anche i tavoli all’esterno nella galleria e in giardino. Per quanto riguarda l’offerta, al momento, ci sono una quarantina di gin scelti, 45 tipi di rum, 50 tipi di whisky, 20 selezioni di agave tra tequila e mezcal. E poi una selezione di vini”.

Il Tale

Come rispondono i clienti all’abbinamento drink e cibo?

“Attualmente è già presente una parte food che accompagna i nostri drink ma ci avviamo verso un vero e proprio abbinamento tra cibo e cocktail. Al momento sono i giovani che lo gradiscono maggiormente, mentre gli over 45 rimangono ancora tradizionalisti. La carta dei vini è comunque presente ed offre una buona scelta. Questi abbinamenti sono una prospettiva nuova in Italia del bere e mangiare quindi ci vorrà un po’ di tempo per creare un folto numero di estimatori”.

È cambiato il modo di bere in questo periodo di pandemia?

“Si. Sta cambiando anche l’idea dell’aperitivo che non parte più dallo spritz e basta. Questa tendenza la possiamo notare, per esempio, anche nella grande distribuzione. L’offerta di bottiglie costose e di pregio è a scaffale. Per esempio il gin italiano va sempre più e per un distillato come il rum, invece, ci si sta discostando dalle richieste un po’ più comuni come lo Zacapa. La cultura del bere bene sta crescendo e anche in fretta. Si tende a bere di meno ma più di qualità. Anche i giovanissimi stanno diventando più selettivi”.

Quanto incidono le mode in questo settore?

“Hanno sicuramente il loro peso. Credo però che, si debba avere la possibilità di scegliere, per questo è importante diversificare. Noto questa cosa, per esempio, nei vini naturali, adesso vanno molto ma non sono convinto che durerà. È comunque successo anche ai gin o ai rum”.

Quanto incidono, sulla clientela, gli eventi nel vostro ramo?

“Al momento ancora non molto. Alle manifestazioni si incontrano diversi colleghi ed è una cosa molto bella. Il mio timore è che questo lavoro si trasferisca troppo sui social in particolare su instagram. Il nostro lavoro rischia di dare così un’immagine distorta di sé stesso. Resta fermo che ognuno è libero di gestire il proprio lavoro come meglio crede. Anche noi usiamo i social ma il focus principale non è quello ma il bar”.

Progetti per nuove aperture?

“Aspettiamo di vedere, con le restrizioni, quanto riusciremo a lavorare. Se in modo continuativo o ci saranno nuove chiusure. Il passo successivo è consolidare la già eccellente collaborazione tra di noi. Da lì possono partire tutti i nuovi progetti per l’anno prossimo”.

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